Gianluca Favetto / La Repubblica

Storia aspra. Cruda, non crudele. Provocante ed orgogliosa. A muso duro. Come nel carattere e nelIo stile di Daniele Segre, quarantenne, alessandrino di nascita, torinese di adozione, che firma il soggetto con Carlo Colnaghi e la sceneggiatura con Davide Ferrarlo. Per la prima volta affronta il giudizio del pubblico nelle sale, aspetta il responso del mercato. Ardua impresa, coraggiosa. Forse disperata. Può darsi che non ottenga un grande successo di cassetta. Eppure il film merita di essere visto. Anche solo perché è diverso da quelli che si producono oggi. Affascinante, grazie anche alla suggestiva ed esatta (mai una luce sbagliata o un effetto di troppo) fotografia di Luca Bigazzi, imperfetto e talentuoso. Sincero. Racconta senza compiacimenti la storia di un attore che ha abbandonato il mestiere e da dieci anni ormai entra ed esce dagli ospedali psichiatrici. L'abbruttimento e l'abbandono. La solitudine. Una vita di miserie e di fame. L'incontro con una giovane donna che si interessa a lui. La bugia raccontata a sè e agli altri di dover fare un viaggio in Polonia. Il sogno di ritornare sulle scene. La fine di ogni illusione. Alessandra Comerio si fa notare. Carlo Colnaghi è vero, intenso, benissimo incalzato da Segre che gli sta addosso con la macchina da presa come a volergli stanare l'anima.